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rivista semestrale

anno XXXVI - terza serie

numero 89

gennaio/giugno 2024

Milo De Angelis, Tutte le poesie. 1969-2015

[ postfazione e nota biobibliografica di S. Verdino, Mondadori, Milano 2017]

Il nuovo Oscar Mondadori dedicato a Milo De An­gelis fa il punto sul percorso di un autore che – or­mai da quarant’anni – occupa un ruolo di primo piano sulla nostra scena letteraria, e si offre come uno strumento prezioso per i lettori e gli studiosi, spesso costretti a fare i conti con una realtà edito­riale che rende tutt’altro che scontato l’accesso a raccolte di versi anche relativamente recenti. Rispetto alle Poesie del 2008, il nuovo volume ar­ricchisce la percezione degli “estremi” del percor­so di De Angelis. Da una parte, infatti, propone in appendice una serie di versi giovanili finora inediti: «un gruppo di poesie che alla fine del 1975, conse­gnando a Giovanni Raboni il dattiloscritto [di Somi­glianze], avevo deciso di non pubblicare, in alcuni casi a malincuore» (pp. 377-378). Questi testi, in ef­fetti, sembra si possano collocare senza problemi nell’ambito del “laboratorio” della raccolta d’esor­dio, con cui presentano evidenti affinità tematiche. Ricorrono i motivi dell’eros, del gesto atletico e del suicidio. Ricorre la propensione a privilegiare quel­le «privatissime storie» che possono apparire «sciocche» a chi giudichi più urgenti i «guai gene­rali» della Storia (p. 390). All’estremo cronologico opposto, il nuovo Oscar include le due più recenti raccolte di De Angelis, Quell’andarsene nel buio dei cortili (2010) e Incontri e agguati (2015). Raccol­te che, presentandosi come una prosecuzione del “corpo a corpo” tra l’autore e i nuclei da sempre fondativi della sua inventio, confermano l’immagi­ne – cara, come si sa, allo stesso De Angelis – di un “poeta del lago”. In entrambe le sillogi, in partico­lare, continua a giocare un ruolo fondamentale la mitopoiesi dell’origine («il vero inizio di ogni cosa», p. 331) e della fine (la morte può addirittura diven­tare un’«officina» in cui l’io guida, quasi tenendolo per mano, il lettore).
Incontri e agguati si chiude con una breve sezione, Alta sorveglianza, nata dall’esperienza di De Ange­lis come insegnante al carcere di Opera. Se l’argomento è per più versi potenzialmente “civile”, il poeta lo declina però piuttosto in una chiave “miti­ca”: Opera sembra esistere in una dimensione che è naturalmente estranea e completamente altra rispetto al tempo della Storia. Può valere la pena, a questo proposito, fare un confronto con il primo De Angelis: il fatto che, tanto in Somiglianze quan­to nei testi giovanili, si manifestasse ripetutamen­te ed esplicitamente la necessità di rifiutare la di­mensione storico-politica («i guai generali» di cui sopra) indicava quanto l’io non potesse dimenti­carne fino in fondo la presenza e non potesse non sentirne, per così dire, la pressione. In questo sen­so, il parziale scarto che si registra tra i due estre­mi della produzione di De Angelis è tanto un segno dei tempi quanto un dato rappresentativo della di­rezione in cui si è mosso il suo percorso poetico. La Postfazione a Tutte le poesie, firmata da Stefa­no Verdino, offre ulteriori spunti per la lettura del corpus pubblicato. Riproponendo l’ormai consue­ta scansione tripartita dell’opera di De Angelis, la ricognizione di Verdino dà conto della complessità di un itinerario poetico che, pur rimanendo sempre fedele ai suoi nuclei tematici principali, ha cono­sciuto innegabilmente uno sviluppo nel corso del tempo. Nel rimarcare il potenziale «illogico» (p. 430) di certe immagini della poesia di De Angelis, Verdino fa notare che questa illogicità (che andrà intesa a un primo livello come “non immediata leg­gibilità”, ma anche – e più profondamente – come tentativo di ricostruire un senso non riducibile alla consueta cornice di pensiero “logico-razionale”) non corrisponde mai nella sostanza a un’«ar­bitrarietà» (ibidem). Si tratta di un dato che merita decisamente di essere sottolineato, e che senz’al­tro può contribuire a dare ragione della rilevanza che l’opera di De Angelis sta solidamente conser­vando nel tempo.

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